martedì 27 marzo 2007

Il vero significato della scienza

Prima di lasciarvi alla lettura, piacevole o meno, del mio scritto qui sotto, metto le mani avanti e tendo a chiarire quei dubbi che probabilmente sorgerebbo a chiunque avesse letto anche il post precedente a questo, di Jou. L'argomento di quella e questa trattazione lo possiamo ben riassumere in "La scienza: dubbi e paure dello scienziato". A fronte delle stesse fonti a noi disponibili, benchè le nostre idee e modi di scrittura (spesso) non coincidano, è inevitabile che si incontrino nel mio scritto temi e citazioni affrontati in quello di Jou.
Buona lettura.


IL VERO SIGNIFICATO DELLA SCIENZA

“Mi ricordo un colloquio che ebbi dopo la guerra con E. Fermi, poco prima che venisse sperimentata la prima bomba all'idrogeno nel Pacifico. Discutemmo di questo progetto, ed io lasciai capire che, considerate le conseguenze biologiche e politiche, si doveva abbandonare un simile esperimento. Fermi replicò: 'Eppure è un così bello esperimento'” (W. Heisenberg. La tradizione nella scienza, trad. it. Milano 1982).

Si potrebbe riaprire il solito dibattito in corso ormai da anni con questa citazione, un dibattito riguardante i giorni nostri. Quando l'uomo si è accorto di poter costruire qualcosa con le proprie mani, che poteva all'evenienza far comodo ai suoi simili, scoprì la scienza, in continua espansione e mutamento. Ma questa cosa che noi definiamo col termine 'scienza' è davvero utile? Ma l'interrogativo di tutti i tempi è: la scienza è buona o cattiva? Utile o distruttiva? Il dibattito, come suddetto, è ancora aperto, e come riguarda noi, gente comune interessa anche gli scienziati stessi. Perché questi sono uomini proprio come noi, non automi, e spesso si trovano a far scelte che prima di tutto pesano sulla loro coscienza. Si potrebbe citare a questo proposito Hobsbawm, e il suo il secolo breve (trad. it. Milano 1995), che, descrivendo la seconda guerra mondiale, scrive: “Una normale guerra fra diversi stati nazionali non avrebbe quasi certamente spinto i fisici d'avanguardia, per lo più profughi dai paesi fascisti, a premere sui governi inglese e americano perché costruissero una bomba atomica. E proprio l'orrore di questi scienziati dinanzi al risultato ottenuto, i loro sforzi disperati all'ultimo minuto per impedire ai politici e ai generali di usare effettivamente la bomba, e in seguito i loro sforzi per opporsi alla costruzione della bomba all'idrogeno testimoniano nella forza delle passioni politiche”. Citazione ben diversa rispetto alla prima fatta; si potrebbero individuare quindi due categorie per gli scienziati: quelli in un certo qual modo fanatici della scienza, che creano anche elementi che potrebbero creare gravi disagi al pianeta o distruzioni di massa della popolazione solo per tener alta la bandiera dell'avanguardia in campo scientifico, e altri invece, che sono attenti alle loro scoperte, senza impedirle, riconoscendole come progresso della scienza, ma non per questo non in grado di rimaner ciechi di fronte alla potenza (distruttiva) di alcune scoperte. Veduto tutto ciò la domanda precedentemente espressa ritorna presente: cosa dobbiamo fare con il progresso, se di questo si tratta, della scienza? Fermarci di fronte alla potenza delle scoperte oppure continuare, perché, ridimensionando l'utilizzo di quello a noi nocivo, la scienza offre anche la scoperta di cose positive quali vaccini, e medicine per combattere malattie più o meno gravi? Già Galileo aveva tentato di rispondere a questa domanda ma, afferma, di aver fallito come scienziato:“Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo [...] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei sapienti perché la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.” (B. Brecht, Vita di Galileo, Torino 1961). Ma torniamo ai giorni nostri: è impossibile negare che la scienza sia stata del tutto negativa, anzi, nel corso degli anni ha dato tanti frutti e ha, per esempio, debellato tante malattie che prima erano mortali. Quindi non è questione di scienza buona o cattiva ma di come questa venga adoperata; “I sospetti e la paura verso la scienza sono stati alimentati da quattro sentimenti: che la scienza è imprevedibile; che le sue conseguenze pratiche e morali sono imprevedibili e forse catastrofiche; che essa sottolinea la debolezza e mina l'autorità. Né infine dobbiamo trascurare il sentimento che, nella misura in cui la scienza interferisce con l'ordine naturale delle cose, essa risulta intrinsecamente pericolosa” (E. Hobsbawn, Il secolo breve): bisogna sfatare questi quattro sentimenti, naturalmente nessuno si aspetta che la scienza sia comprensibile a tutti, ma è anche vero che esistono persone che la capiscono e quindi a loro bisogna affidarsi. Le conseguenze non sono mai prevedibili in campo scientifico, questo è il rischio che ogni scienziato decide di correre, ma mai la scienza prevaricherà su di lui, quindi spetta solo all'uomo la decisione di utilizzare ciò che è stato scoperto in modo più o meno morale, evitando o meno catastrofi; la debolezza dell'uomo non è affatto davanti alla scienza ma davanti alla natura, e proprio la scienza ci dà un'opportunità per 'domarla' e infine l'ultima affermazione riguardante l'intrinseca pericolosità della scienza, può essere sfatata con altrettanta semplicità: la responsabilità della pericolosità della scienza è sempre e comunque di chi ne fa uso, sia questo scienziato, politico, militare, ecc. Sfatato questo mito della scienza e appurate le persone a cui dare meriti e colpe per ciò che accade attorno a noi è giusto affrontare un altro argomento, emerso già in una delle prime citazioni fatte.

Spesso la scienza viene utilizzata da altre 'forze' quali quelle politica e militare, ed è forse questo che la rende negativa alla vista di alcuni; è dunque giusto stabilire dei ranghi all'interno dei quali esponenti politici e militari devono restare. Il primo è quello del rispetto dell'uomo, di qualsiasi razza e nazione, e di utilizzare la scienza per il bene di questo e, in caso di guerra, assicurarsi che l'utilizzo di strumenti tecnologici non porti a situazioni drammatiche e disastrose, quindi le decisioni spettano a persone capaci nel loro mestiere, non fanatiche e soprattutto, dal punto di vista di rapporti umani, molto rispettosi di qualsiasi persona. Il secondo paletto da piantare riguarda la 'gerarchia': è bene stabilire un ordine ed è bene che questo non venga mai variato; è la scienza che si presta al servizio di, sempre per mantenere l'esempio precedente, politica e milizia, ma non è mai, per nessuna ragione, subordinata a queste e mai deve porre come fine lo stesso delle altre due 'forze' ma il suo unico progresso, con le dovute precauzioni. È quindi insensato tener nascoste le ricerche fatte dagli scienziati, perchè queste non dovrebbero mai esser fatte per danneggiare qualcuno. E nel momento in cui si parla di 'danneggiamento' è bene precisare che la creazione e l'apprendimento del funzionamento di, per esempio, una bomba non è considerato, in scienza, un danno verso l'umanità; questo accadrà quando la bomba inizierà ad essere utilizzata. La scienza serve quindi anche da monito, serve ad individuare un pericolo e impedire che questo avvenga.

Oggi più che mai bisogna affermare il principio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche piuttosto che essere vittime di movimenti oscurantisti ed antiscientisti” (R. Levi Montalcini, dal Discorso tenuto il 13 febbraio 2001 nella sala della biblioteca di Montecitorio).

Molti considereranno questa 'mia' scienza come un'illusione, un'utopia, perchè, in effetti, non è molto uguale alla scienza che conosciamo noi adesso, ma credo che le colpe di questo siano indirizzate a persone ben precise, che fanno della scienza uno strumento di distruzione; è dunque tempo che nuove persone capaci siano in grado di ridare una bella sistemata agli uomini suddetti e che riportino ordine all'interno della 'gerarchia'. È bene che ci si renda conto che “il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano” (Pascal, Pensieri, n.139, trad. it. Di P. Serini, Torino 1962) e che è bene che queste vengano per lo meno ridimensionate se c'è impossibilità di conoscerle, e ciò può essere fatto attraverso la scienza, e ricordarsi sempre che “l'ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l'Homo Sapiens da tutte le altre specie” (R. Levi Montalcini, al Discorso del 13/2/2001).

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