giovedì 29 marzo 2007

Anche i metalli...ricordano

Articolo tratto da "La Repubblica" on - line del 29 marzo 2007


Ha una struttura ottenuta con un mix di grani di aggregazione
grandi e piccoli che tornano al loro posto dopo una deformazione

Elaborato il metallo con la 'memoria'
Riprende la sua forma originale col calore

Tra le possibili applicazioni anche circuiti a risparmio energetico
Il nuovo materiale messo a punto dall'univerità dell'Illinois


NEW YORK - Potrebbe avverarsi un potenziale incubo per i carrozzieri: un metallo che tende da solo a riprendere la sua forma originale, facilitato dal calore. Un gruppo di ricercatori dell'università dell'Illinois - riporta la rivista 'Science' - ha elaborato un nuovo metallo che tende a rimettersi a posto da solo, proprio come se avesse una sua 'memoria'. E così paraurti accartocciati o fogli di alluminio piegati che tornano lisci come nuovi, magari con il semplice phon di casa, sono le prime applicazioni che saltano alla mente. Ma gli scienziati parlano anche di altre opportunità: ad esempio per la creazione di nuovi circuiti elettronici concomponenti ad alta efficienza energetica.

L'innovativo materiale è stato realizzato sfruttando la microstruttura dei metalli, cioè la disposizione di aggregati microscopici (i cosiddetti 'grani') all'interno di lastre molto sottili; se i grani sono troppo grossi il metallo si deforma irreversibilmente, mentre se sono troppo piccoli tende a rompersi. Il nuovo metallo è caratterizzato da un mix di grani grandi e piccoli con cui i ricercatori hanno realizzato alcune lastre che, una volta piegate e portate alla temperatura di 50 gradi, tornavano della forma originale. La deformazione delle lastre di metallo prodotte dal laboratorio americano provoca, a livello microscopico, due effetti: i grani più grossi si piegano, premendo su quelli più piccoli che accumulano energia come delle piccole molle. Quando lo sforzo finisce, le molle tendono a tornare alla loro posizione originaria, e il processo è 'aiutato' dal calore.

Ma non si tratta della proprietà ottenuta con un metallo specifico. Secondo gli autori dello studio, infatti, il tipo di metallo non ha importanza, quello che conta sono le dimensioni degli aggregati e la loro distribuzione. In passato erano già state elaborate leghe con caratteristiche simili: "Sono già in uso leghe di metalli diversi, come il nichel-titanio, per ottenere questo effetto - spiega Bruno De Benedetti, ordinario di metallurgia del Politecnico di Torino - in questo caso però si tratta di un solo metallo. La novità è interessante, anche se ci potrebbe essere il problema di come passare dalla scala di laboratorio ad una più grande". "E' proprio come se il metallo ricordi da dove viene, cioè conservi una sorta di 'memoria' della sua struttura originaria", ha dichiarato il professor Taher Saif, coordinatore della ricerca.

Ora tutti i pensieri sono rivolti ai pissibili utilizzi. I materiali che 'ricordano' la loro forma hanno già diversi campi di applicazione. Nei satelliti, ad esempio, il calore del Sole fa allungare alcune molle fatte di leghe con questa caratteristica che si allungano, aprendo i pannelli solari. In odontoiatria, invece, queste leghe sono usate per ridurre la separazione fra due denti, attraverso una piccola molla di nickel titanio, precedentemente stirata, che recupera la sua forma iniziale con il calore della bocca.

Il fatto che questi metalli siano però formati da un solo metallo apre nuove possibilità: oltre a quelle 'automobilistiche', i ricercatori propongono applicazioni più specializzate: "Il controllo delle strutture microcristalline in strati sottili permette di ridurre la perdita di energia in oscillatori e risuonatori - spiega il professor Saif - due elementi dei circuiti elettronici utilizzati in una serie di prodotti che va dai sensori degli air bag alle videocamere".

Free Hugs: Abbracci Gratis

Free Hugs Campaign: è l'ultima grande campagna che sta invadendo ormai tutte le città del mondo, ma è prima di tutto la storia di Juan Mann, nome che ha iniziato ad essere sulla bocca di tutti dopo che il suo video (è possibile vederlo nel suo sito) ha iniziato a fare il giro della rete.


Cosa c'è di speciale in un'iniziativa del genere? Inanzitutto la semplicità di un gesto sempre più dimenticato in un mondo in cui gli affetti vengono continuamente messi in secondo piano; poi la felicità e la gioia di vivere che porta un simile gesto nella vita delle persone.



La storia di Juan Mann (traduzione dal suo sito personale):

Vivevo a Londra quando improvvisamente mi è crollato il mondo addosso e sono dovuto tornare a casa. Stabilito di ritornare a Sydney, tutto quello che mi lasciai alle spalle fu una borsa piena di vestiti e un mondo di guai. Nessuno mi ha dato il benvenuto e non avevo un posto che potevo chiamare casa. Ero come un turista, ma nella mia città natale.

Stando là all'aereoporto, guardando gli altri viaggiatori incontrare i loro amici e la loro gamiglia, con le braccia aperte e le facce sorridenti, abbracciandosi e ridendo assieme, volevo anche io qualcuno che mi aspettasse fuori di lì. Che fosse felice vedendomi. Che mi sorridesse. Che mi abbracciasse.

Così presi un cartello in un supermercato e ci scrissi sopra. Trovai l'incrocio più trafficato della città, tenendo quel cartello in aria, con la scritta "Abbracci Gratis" su entrambi i lati.

Per 15 minuti, la gente mi passò a lato. La prima persona che si fermò, mi battè sulla spalla e mi disse che il suo cane era morto quella mattina. Era anche il primo anniversario della morte dell'unica sua figlia, morta in un incidente automobilistico. Tutto ciò di cui aveva bisogno, poichè si sentiva la persona più sola al mondo, era un abbraccio. Mi piegai sulle ginocchia, ci stringemmo con le braccia l'un l'altra, e quando ci separammo, stava sorridendo.

Tutti hanno dei problemi e sicuramente non sono comparabili ai miei. Ma vedere qualcuno abbattuto, sorridere solo per un momento, è sempre una cosa meravigliosa.


Se vuoi anche tu diventare un "FreeHugger" devi sapere che è nato un movimento anche qui in Italia, in molte città; per maggiori informazioni ti consiglio di visitare il sito ufficiale italiano.

mercoledì 28 marzo 2007

L'evoluzione dei mammiferi

Articolo tratto da "La repubblica" on - line del 28 marzo 2007


Non si diffusero improvvisamente dopo l'estinzione dei dinosauri,
ma in modo molto più graduale: su Nature uno studio lungo 10 anni

L'albero genealogico dei mammiferi
Una lenta evoluzione di oltre 4000 specie

di ALESSIA MANFREDI


ROMA - Non è stata l'estinzione dei dinosauri a determinare lo sviluppo e la diversificazione dei mammiferi sulla Terra. Il gigantesco meteorite caduto nella penisola dello Yucatan che circa 65 milioni di anni fa causò, secondo una delle teorie più note, la scomparsa degli animali preistorici non ha giocato un ruolo chiave sulla sorte dei mammiferi. Che già convivevano con i dinosauri e si sono poi diffusi sul pianeta in modo graduale e prolungato nel tempo, non improvvisamente dopo la loro fine.

Il mistero della scomparsa dei rettili preistorici continua ad affascinare e a far discutere la comunità scientifica e ora, a dare un nuovo contributo al dibattito, arriva una ricerca pubblicata su Nature. Il lavoro, che coinvolge diversi atenei internazionali fra cui l'Imperial College e la Zoological Society di Londra, e coordinato da Olaf Bininda-Emonds dell'Università di Tubinga in Germania, suggerisce che i mammiferi abbiano impiegato molto più tempo ad assumere le forme moderne, iniziando a diversificarsi già 100-80 milioni di anni fa e non di punto in bianco, una volta lasciato libero il campo dai dinosauri. A questa conclusione i ricercatori sono arrivati studiando le distanze genetiche e compilando un nuovo, ampio "albero della vita", che raccoglie la storia di oltre il 99 per cento delle 4.500 specie che esistono oggi sulla Terra.
Ci sono voluti dieci anni per mettere a confronto i dati, partendo dai fossili e utilizzando analisi molecolari di nuovo tipo. E il risultato indica che già 85 milioni di anni fa esistevano gli antenati genetici dei mammiferi che conosciamo oggi, anche se nel periodo del Cretaceo, dominato dai dinosauri, queste specie erano ancora poche.

I nostri progenitori, secondo i ricercatori, iniziarono effettivamente a diffondersi sulla Terra circa dieci milioni dopo la scomparsa dei dinosauri, ma in quel periodo si registrò un aumento improvviso della temperatura del pianeta, che potrebbe aver dato un impulso importante alla loro crescita.

Potrebbe essere stato una sorta di "surriscaldamento terrestre - e non la scomparsa dei dinosauri - a far sviluppare le diverse specie che conosciamo oggi" spiega il professor Andy Purvis, dell'Imperial College di Londra. Una scoperta, secondo il professore, che "riscrive il nostro modo di comprendere come ci siamo evoluti sul pianeta".

"La diatriba tra chi sostiene la teoria di un'improvvisa estinzione di massa dei dinosauri e chi invece è favorevole ad una ipotesi più articolata per spiegare l'ascesa dei mammiferi, è di vecchia data" commenta il professor Carmelo Petronio, docente di Paleontologia dei vertebrati all'Università La Sapienza di Roma.

Se negli Stati Uniti prevale la teoria di Alvarez, più spettacolare e scenografica, "questo studio molecolare conferma invece la posizione dei paleontologi diffusa in Europa, che propende per una spiegazione più graduale, che comunque non coincide con la fine del Cretacico, quando i dinosauri sono scomparsi". "E' vero - continua il professore - che, nel Cenozoico, dopo l'estinzione della maggior parte dei dinosauri, c'è stata un'esplosione dei mammiferi, ma di quelli, come noi, Placentati. I più antichi fra questi, Insettivori come il toporagno, ad esempio, hanno convissuto per decine di milioni di anni con i rettili preistorici. Possiamo anche dire che un Primate americano, Purgatorius, il nostro più antico antenato, ha conosciuto i dinosauri". Che, del resto, non sono scomparsi in modo fulmineo. "Già da prima di 65 milioni di anni fa i dinosauri mostravano segni di decadenza e alcune forme continuarono ad esistere anche dopo quella data. E ancora oggi, in qualche modo sotto forma di uccelli, noi osserviamo i loro diretti discendenti".

DAL TRAMONTO ALLA NOTTE

Dicembre 1999, mi dirigo a casa in una strada di campagna dell'Emilia dopo aver passeggiato tutto il giorno.
Il vento ulula creando vortici di spifferi e cadono leggeri i fiocchi di neve. Il sole tramonta lasciando striature di luce prive di sfumature troppo calde, d'altra parte è l'inverno. I colori variano dal blu al giallo chiaro e le strette e lunghe nuvole che coprono il cielo si confondono con il graduale spegnersi del giorno cambiando man mano colore.
La desolazione del luogo e il sottile mantice di soffice biancore esaltano il fenomeno come unico e indimenticabile: il tramonto estivo è alquanto banale perché rispecchia i colori della stagione stessa, ma in inverno il contrasto tra quest'ultimi e il cielo conferisce al luogo caratteri inconfondibili.
La neve, che di giorno risplende di azzurro, ora assume un certo colorito insicuro, tremante, le poche foglie rimaste a terra volano giocando con le ombre e i muri delle case in lontananza sembrano caldi e accoglienti. Gli uccelli volano agitati come per paura della notte in arrivo e le nuvole coprono di tanto in tanto quel sole che fatica ad andarsene, come trattenuto dal fresco, che non lo raggiunge mai.
I cani dei contadini corrono verso le loro cucce un po’ spaventati dalla luce soffusa, un po’ incoscienti di quel momento magico e tutti gli animali delle stalle rumoreggiano per timore dell'oscuramento.
La scena che si presenta ai miei occhi è alquanto cinematografica e forse proprio per questo motivo molti film presentano scene di questo tipo: inquiete e misteriose. Ma quest'atmosfera di transizione che porta alla notte e di depressione sembra preparare la poca erba e vegetazione non coperta dalla neve a un gran temporale.
Intanto, però, aspettando le prime gocce di rugiada in questa strada sterrata dove mi incammino qua e la voltandomi sognando, i miei passi si nascondono tra l'ombra della precoce notte.
Anche il candore della neve non può fermare quello scuro triste avanzare e presto l'unico faro sarà la luce della cascina.
E tutto ciò non fa altro che suscitarmi emozioni miste tra la curiosità verso il fenomeno e la paura del domani.

martedì 27 marzo 2007

Il vero significato della scienza

Prima di lasciarvi alla lettura, piacevole o meno, del mio scritto qui sotto, metto le mani avanti e tendo a chiarire quei dubbi che probabilmente sorgerebbo a chiunque avesse letto anche il post precedente a questo, di Jou. L'argomento di quella e questa trattazione lo possiamo ben riassumere in "La scienza: dubbi e paure dello scienziato". A fronte delle stesse fonti a noi disponibili, benchè le nostre idee e modi di scrittura (spesso) non coincidano, è inevitabile che si incontrino nel mio scritto temi e citazioni affrontati in quello di Jou.
Buona lettura.


IL VERO SIGNIFICATO DELLA SCIENZA

“Mi ricordo un colloquio che ebbi dopo la guerra con E. Fermi, poco prima che venisse sperimentata la prima bomba all'idrogeno nel Pacifico. Discutemmo di questo progetto, ed io lasciai capire che, considerate le conseguenze biologiche e politiche, si doveva abbandonare un simile esperimento. Fermi replicò: 'Eppure è un così bello esperimento'” (W. Heisenberg. La tradizione nella scienza, trad. it. Milano 1982).

Si potrebbe riaprire il solito dibattito in corso ormai da anni con questa citazione, un dibattito riguardante i giorni nostri. Quando l'uomo si è accorto di poter costruire qualcosa con le proprie mani, che poteva all'evenienza far comodo ai suoi simili, scoprì la scienza, in continua espansione e mutamento. Ma questa cosa che noi definiamo col termine 'scienza' è davvero utile? Ma l'interrogativo di tutti i tempi è: la scienza è buona o cattiva? Utile o distruttiva? Il dibattito, come suddetto, è ancora aperto, e come riguarda noi, gente comune interessa anche gli scienziati stessi. Perché questi sono uomini proprio come noi, non automi, e spesso si trovano a far scelte che prima di tutto pesano sulla loro coscienza. Si potrebbe citare a questo proposito Hobsbawm, e il suo il secolo breve (trad. it. Milano 1995), che, descrivendo la seconda guerra mondiale, scrive: “Una normale guerra fra diversi stati nazionali non avrebbe quasi certamente spinto i fisici d'avanguardia, per lo più profughi dai paesi fascisti, a premere sui governi inglese e americano perché costruissero una bomba atomica. E proprio l'orrore di questi scienziati dinanzi al risultato ottenuto, i loro sforzi disperati all'ultimo minuto per impedire ai politici e ai generali di usare effettivamente la bomba, e in seguito i loro sforzi per opporsi alla costruzione della bomba all'idrogeno testimoniano nella forza delle passioni politiche”. Citazione ben diversa rispetto alla prima fatta; si potrebbero individuare quindi due categorie per gli scienziati: quelli in un certo qual modo fanatici della scienza, che creano anche elementi che potrebbero creare gravi disagi al pianeta o distruzioni di massa della popolazione solo per tener alta la bandiera dell'avanguardia in campo scientifico, e altri invece, che sono attenti alle loro scoperte, senza impedirle, riconoscendole come progresso della scienza, ma non per questo non in grado di rimaner ciechi di fronte alla potenza (distruttiva) di alcune scoperte. Veduto tutto ciò la domanda precedentemente espressa ritorna presente: cosa dobbiamo fare con il progresso, se di questo si tratta, della scienza? Fermarci di fronte alla potenza delle scoperte oppure continuare, perché, ridimensionando l'utilizzo di quello a noi nocivo, la scienza offre anche la scoperta di cose positive quali vaccini, e medicine per combattere malattie più o meno gravi? Già Galileo aveva tentato di rispondere a questa domanda ma, afferma, di aver fallito come scienziato:“Se gli uomini di scienza non reagiscono all'intimidazione dei potenti egoisti e si limitano ad accumulare sapere per sapere, la scienza può rimanere fiaccata per sempre, ed ogni nuova macchina non sarà fonte che di nuovi triboli per l'uomo [...] Per alcuni anni ebbi la forza di una pubblica autorità; e misi la mia sapienza a disposizione dei sapienti perché la usassero, o ne abusassero, a seconda dei loro fini. Ho tradito la mia professione; e quando un uomo ha fatto ciò che ho fatto io, la sua presenza non può essere tollerata nei ranghi della scienza.” (B. Brecht, Vita di Galileo, Torino 1961). Ma torniamo ai giorni nostri: è impossibile negare che la scienza sia stata del tutto negativa, anzi, nel corso degli anni ha dato tanti frutti e ha, per esempio, debellato tante malattie che prima erano mortali. Quindi non è questione di scienza buona o cattiva ma di come questa venga adoperata; “I sospetti e la paura verso la scienza sono stati alimentati da quattro sentimenti: che la scienza è imprevedibile; che le sue conseguenze pratiche e morali sono imprevedibili e forse catastrofiche; che essa sottolinea la debolezza e mina l'autorità. Né infine dobbiamo trascurare il sentimento che, nella misura in cui la scienza interferisce con l'ordine naturale delle cose, essa risulta intrinsecamente pericolosa” (E. Hobsbawn, Il secolo breve): bisogna sfatare questi quattro sentimenti, naturalmente nessuno si aspetta che la scienza sia comprensibile a tutti, ma è anche vero che esistono persone che la capiscono e quindi a loro bisogna affidarsi. Le conseguenze non sono mai prevedibili in campo scientifico, questo è il rischio che ogni scienziato decide di correre, ma mai la scienza prevaricherà su di lui, quindi spetta solo all'uomo la decisione di utilizzare ciò che è stato scoperto in modo più o meno morale, evitando o meno catastrofi; la debolezza dell'uomo non è affatto davanti alla scienza ma davanti alla natura, e proprio la scienza ci dà un'opportunità per 'domarla' e infine l'ultima affermazione riguardante l'intrinseca pericolosità della scienza, può essere sfatata con altrettanta semplicità: la responsabilità della pericolosità della scienza è sempre e comunque di chi ne fa uso, sia questo scienziato, politico, militare, ecc. Sfatato questo mito della scienza e appurate le persone a cui dare meriti e colpe per ciò che accade attorno a noi è giusto affrontare un altro argomento, emerso già in una delle prime citazioni fatte.

Spesso la scienza viene utilizzata da altre 'forze' quali quelle politica e militare, ed è forse questo che la rende negativa alla vista di alcuni; è dunque giusto stabilire dei ranghi all'interno dei quali esponenti politici e militari devono restare. Il primo è quello del rispetto dell'uomo, di qualsiasi razza e nazione, e di utilizzare la scienza per il bene di questo e, in caso di guerra, assicurarsi che l'utilizzo di strumenti tecnologici non porti a situazioni drammatiche e disastrose, quindi le decisioni spettano a persone capaci nel loro mestiere, non fanatiche e soprattutto, dal punto di vista di rapporti umani, molto rispettosi di qualsiasi persona. Il secondo paletto da piantare riguarda la 'gerarchia': è bene stabilire un ordine ed è bene che questo non venga mai variato; è la scienza che si presta al servizio di, sempre per mantenere l'esempio precedente, politica e milizia, ma non è mai, per nessuna ragione, subordinata a queste e mai deve porre come fine lo stesso delle altre due 'forze' ma il suo unico progresso, con le dovute precauzioni. È quindi insensato tener nascoste le ricerche fatte dagli scienziati, perchè queste non dovrebbero mai esser fatte per danneggiare qualcuno. E nel momento in cui si parla di 'danneggiamento' è bene precisare che la creazione e l'apprendimento del funzionamento di, per esempio, una bomba non è considerato, in scienza, un danno verso l'umanità; questo accadrà quando la bomba inizierà ad essere utilizzata. La scienza serve quindi anche da monito, serve ad individuare un pericolo e impedire che questo avvenga.

Oggi più che mai bisogna affermare il principio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche piuttosto che essere vittime di movimenti oscurantisti ed antiscientisti” (R. Levi Montalcini, dal Discorso tenuto il 13 febbraio 2001 nella sala della biblioteca di Montecitorio).

Molti considereranno questa 'mia' scienza come un'illusione, un'utopia, perchè, in effetti, non è molto uguale alla scienza che conosciamo noi adesso, ma credo che le colpe di questo siano indirizzate a persone ben precise, che fanno della scienza uno strumento di distruzione; è dunque tempo che nuove persone capaci siano in grado di ridare una bella sistemata agli uomini suddetti e che riportino ordine all'interno della 'gerarchia'. È bene che ci si renda conto che “il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c'è un'infinità di cose che la sorpassano” (Pascal, Pensieri, n.139, trad. it. Di P. Serini, Torino 1962) e che è bene che queste vengano per lo meno ridimensionate se c'è impossibilità di conoscerle, e ciò può essere fatto attraverso la scienza, e ricordarsi sempre che “l'ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l'Homo Sapiens da tutte le altre specie” (R. Levi Montalcini, al Discorso del 13/2/2001).

Il confine della ricerca

Negli ultimi decenni la scienza ha conosciuto un inarrestabile sviluppo nei campi più disparati e la sua corsa al progresso continua tutt’oggi. La ricerca ha assunto il significato di utilità per l’uomo con lo scopo di raggiungere il "dominio" sulla natura. Anche se questo concetto era già presente nel 1600 con Bacone ("L’uomo, ministro e interprete della natura, tanto può agire e comprendere quanto, intorno all’ordine della natura, avrà appreso con l’azione e col pensiero; di più né sa, né può… Di conseguenza, questi due scopi gemelli, l’umana scienza e l’umano potere, si risolvono in definitiva in uno solo" ) e Cartesio ("L’invenzione d’una infinità di congegni che ci farebbero godere senza fatica dei frutti della terra e di tante altre comodità"), qualcosa da allora è cambiato: lo scienziato non è più libero di accrescere il nostro sapere, ma è condizionato dalla società e dalla politica, come una volta lo era per la religione. Un esempio significativo di queste costrizioni viene dalla seconda guerra mondiale: i ricercatori di metà novecento furono costretti a elaborare la prima bomba atomica, non per motivi economici, sociali o semplicemente conoscitivi, ma per motivi politici e militari. E così insieme ai dubbi sui limiti del pensiero umano, che già erano presenti in Montaigne ("Non c’è nulla di più ridicolo del fatto che questa creatura miserabile e meschina che è l’uomo, che non riesce nemmeno ad essere padrona di sé, si creda destinata ad esser padrona dell’universo, del quale non può conoscere e tantomeno dominare la benché minima parte") e Pascal ("L’uomo non è che una canna, la più fragile della natura, ma è una canna che pensa. L’uomo sa di essere miserabile, ed è tale; ma è anche grande, poiché ne è consapevole."), si aggiungono i dubbi sull’eventuale necessità di libertà o di limitazioni sulla ricerca scientifica.
Ormai politici e scienziati si chiedono se sia giusto che la scienza indaghi su tutti i campi per riuscire ad aumentare il nostro sapere e dunque a piegare le forze della natura alle nostre necessità o se sia più corretto vietare alcuni campi di indagine che possono andare a mettere in pericolo l’esistenza stessa dell’uomo (con scoperte militari, come le armi di ditruzione) e la sua individualità (con la clonazione). Le risposte sono numerose e differenti, il dibattito continua ad essere aperto, ma i ricercatori sembrano accumunati da una stessa ideologia: il sapere non va limitato e la religione o la politica non devono influenzarlo e farne uso negativo e pericoloso.
Così Heisenberg afferma: "Lo scienziato ha bisogno di sentirsi confermare da un giudice imparziale, della natura stessa, di aver compreso la sua struttura. E vorrebbe verificare direttamente l’effetto dei suoi sforzi."; e Hobsbawn aggiunge: "L’orrore di questi scienziati dinanzi al risultato ottenuto, i loro sforzi disperati all’ultimo minuto per impedire ai politici e ai generali di usare effettivamente la bomba, e in seguito i loro sforzi per opporsi alla costruzione della bomba all’idrogeno testimoniano della forza delle passioni politiche.".
Il pensiero più completo e significativo si ritrova tuttavia nelle parole di R. Levi Montalcini: "Ho speso tutta la mia vita per la libertà della scienza e non posso accettare che vengano messi dei chiavistelli al cervello: l’ingegno e la libertà di ricerca è quello che distingue l’Homo Sapiens da tutte le altre specie… Solo in tempi bui la scienza è stata bloccata.
Oggi più che mai bisogna affermare il principio che gli scienziati hanno il diritto di partecipare alle decisioni politiche piuttosto che essere vittime di movimenti oscurantisti ed antiscientisti.".
Bisognerebbe tuttavia trovare un accordo: considerando il fatto che il progresso delle scienze naturali è avvenuto sullo sfondo di paure e sospetti e il suo uso ha dimostrato di poter essere catastrofico, la ricerca scientifica andrebbe controllata da un organo legislativo imparziale, che non la limiti, ma la tuteli dalla società, dai governi e dalla Chiesa e impedisca la fuga di informazioni su nuove scoperte scientifiche che potrebbero avere risultati imprevedibili.